mercoledì 10 aprile 2013

Quante volte accettiamo quel che siamo senza farci domande?


Odio le ingiustizie. Credo sia la cosa che meno sopporto: mi monta una rabbia dentro indescrivibile, sento lo stomaco aggrovigliarsi e poi soffro. Odio le ingiustizie soprattutto rivolte ai più deboli, soprattutto quelle senza un fine se non la semplice crudeltà travestita da “non si poteva fare diversamente”, odio le giustificazioni perché sanno di falso, odio chi finge di non vedere e sapere.
La prima volta che ho sentito parlare di Desaparecidos avevo tredici anni: il professore di religione ci aveva fatto vedere il film “La notte delle matite spezzate” : ricordo che mi aveva sconvolto ed ero tornata spesso con la mente sulle immagini e con il fiato sospeso sulle emozioni. Ricordo che il professore continuava a ripetere che era Storia: tutto era successo realmente e per parecchio tempo. E allora io continuavo a chiedermi ma perché nessuno ha fatto niente? come possono così tante persone sparire così nel nulla? E rabbrividivo per le torture subite e per morte ingiusta di quelle persone. E pensavo al dolore di chi rimaneva ad aspettarli, l’impotenza che li schiacciava, la voglia di urlare i “perché, come,dove” con la consapevolezza di risposte che si faticano ad accettare ma di cui si ha bisogno per andare avanti o almeno per provarci, l'aver paura a fare il passo sbagliato e scomparire nel nulla. Ingiustizia e terrore.
In realtà c’è chi ha fatto qualcosa: Le Madri di Plaza de Mayo. E io me le immaginavo chiare e nitide nella testa queste donne, madri e nonne, che girano in cerchio con un fazzoletto bianco in testa chiedendo giustizia.. che in qualsiasi forma i loro figli tornassero a casa e che i loro nipoti sapessero chi in realtà fossero. Queste donne svuotate che trovano una forza inspiegabile.
Tramite una donna che ha dovuto decidere se poteva, doveva ed era pronta a scrollarsi le bugie che l’hanno vestita per anni, Carolina De Robertis ha rispolverato in me queste immagini risvegliando quell’indignazione adolescenziale che spero di non perdere mai.
E così, nel libro “La ragazza dai capelli rossi fiamma”, ho conosciuto Perla che impara a nascondere il suo senso di non appartenenza e il suo disagio in quella vita che a tutti pareva perfetta, e Lui con il suo dolore e il suo infinito desiderio di essere padre.
Il desiderio di entrambi di trovare il proprio posto nel mondo.

Non scrivo altro: leggetelo.

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